Progetto iGEM 2023 | Parte 5
Citavamo all’inizio di questa serie, come i fagi abbiano subito destato un grandissimo interesse nel trattamento delle infezioni batteriche, la scoperta di questi microrganismi è di pochi anni precedente a quella degli antibiotici infatti. Successivamente, però, quando dal 1928 come vi abbiamo già raccontato, inizia la “rivoluzione” degli antibiotici, i fagi, e il loro utilizzo in terapia, cadono nel dimenticatoio. Gli antibiotici, infatti, sono molecole semplici, facili da sintetizzare e produrre in larga scala, trasportabili e dispensabili in modo semplice, insomma, sono dei farmaci pressoché perfetti. La loro diffusione, come abbiamo visto è veloce e il loro uso rapidamente diventa un abuso, si usano per tutto e male, senza portare a termine i cicli di terapia e anche per infezioni non batteriche. Questo fenomeno rapidamente ha una grave conseguenza: i batteri diventano resistenti, si instaura un processo di selezione nei confronti dei ceppi che hanno sviluppato la capacità di vivere in presenza dell’antibiotico, tanto da diventare prevalenti. Dunque, più e più principi attivi diventano inutili, completamente inefficaci, e inizia una lotta, che oggi prosegue, una corsa continua all’ultima molecola, ricerca spasmodica ed economicamente esosa di farmaci sempre nuovi che possano essere attivi nei confronti di questi “super-bugs”.
Ma quando le possibilità cominciano a scarseggiare, e le novità fanno fatica ad arrivare, ecco che si guarda al passato, metafora, questa, per dire come le terapie fagiche stiano tornando. Purtroppo, non sono ancora protagoniste della pratica clinica, ma restano relegate a quei pochi casi dove la speranza sembra persa. Se scorriamo i titoli di cronaca, e le pubblicazioni scientifiche, sempre più di frequente possiamo imbatterci nella notizia “paziente affetto da un’infezione multi-resistente curato con un virus”. Ad ora rappresentano un evento extra-ordinario, ma non spaventiamoci se tra poco tempo non lo sarà più.
Ma perché questi fagi sono così utili, e perché potrebbero essere la nostra “ultima spiaggia”? Finora non abbiamo citato una caratteristica di questi organismi: il tropismo. Si definisce tropismo la “capacità di un microrganismo di orientarsi verso uno specifico organo, tessuto o cellula”, in altre parole significa che un fago è capace di infettare esclusivamente specifiche cellule appartenenti ad una data specie o sottospecie. Ciò ha come conseguenza l’estrema specificità dell’infezione, una fago infetta solo un determinato batterio se sono presenti delle opportune strutture che vengono riconosciute. Questa specificità è per noi una caratteristica straordinaria, gli antibiotici hanno come grande problema quello di fare terra bruciata nei confronti dei batteri presenti nel nostro organismo (per questo insieme alla pastiglia spesso il medico ci consiglia anche i fermenti lattici) alcuni dei quali sono cruciali per la nostra salute – pensiamo alla flora intestinale appunto. Una terapia basata su questi virus avrebbe la capacità di essere indirizzata esclusivamente contro il patogeno che vogliamo eliminare senza andare ad interferire con il microbioma normale (l’insieme delle popolazioni batteriche naturalmente presenti nel nostro organismo), e sono molti gli studi che lo dimostrano.
Ad oggi, non sono pochi gli esempi in cui cocktail fagici, come quelli di cui abbiamo parlato all’inizio, vengano utilizzati nell’ambito di terapie compassionevoli per pazienti con infezioni multi-resistenti. Com’è immaginabile, non si tratta ancora di una terapia standardizzata e usata regolarmente, nonostante in alcuni casi sia stata efficace nel risolvere la patologia. Le sfide che abbiamo di fronte sono ancora molte, la questione del tropismo rende necessario trovare il fago adatto per il battere che abbiamo di fronte, e non è sempre facile, inoltre trovare, fisicamente, nuovi virus richiede uno sforzo di analisi non indifferente, tant’è che si stanno prelevando campioni da ogni dove, con risultati promettenti.
Dare una conclusione ad un tema che è in continua evoluzione come questo è abbastanza complesso, dunque mi limiterò a qualche commento. I fagi, come abbiamo visto, hanno il potenziale per essere degli strumenti terapeutici di grande interesse; uso questa parola, strumenti, perché in quanto tali, i batteriofagi, probabilmente non riusciranno avere un grande futuro nella medicina, ma piuttosto potrebbero diventare dei veicoli, delle parti di un sistema terapeutico più complesso e articolato. Per ora non resta che aspettare e vedere cosa l’uomo se ne farà dell’organismo più letale che conosciamo.